Italo Svevo

LA BIOGRAFIA

Nasce il 19 dicembre 1861, a Trieste, città allora mercantile e cosmopolita. Italo Svevo, al secolo Ettore Schmitz, è il quinto di otto figli.
Il padre Francesco è un facoltoso borghese che, per un affare sbagliato, perde parte delle sue fortune.
L'educazione di Ettore procede all'insegna della disciplina e degli studi commerciali, così come vuole il padre. A dodici anni va a studiare, con i fratelli, in un collegio tedesco. A diciotto frequenta a Trieste l'Istituto Commerciale Revoltella.
Lo lega un affettuoso legame col fratello Elio, il quale lascerà nel suo diario una preziosa testimonianza sul consanguineo letterato.
A causa del sopraggiunto dissesto economico della famiglia, Ettore si trova costretto a cercare un impiego. Diventa corrispondente presso la succursale triestina della Banca Union di Vienna. Vi svolgerà un coscienzioso e diligente lavoro per diciotto anni. Per arrotondare le entrate fa inoltre l'insegnante e il giornalista. Le ore libere le occupa studiando. La sua vocazione non è il commercio e nemmeno il lavoro da impiegato, bensì la letteratura.
Dà alle stampe i suoi primi libri, che vengono accolti con freddezza dalla critica e dal pubblico.
Nel 1896 sposa la cugina Livia Veneziani. Nel 1899 entra nella ditta dello suocero, riconquistando l'agognato benessere economico. Abbandona la letteratura, definendola addirittura "ridicola e dannosa cosa".
In quegli anni a Trieste c'è James Joyce. Svevo lo conosce; Joyce diviene il suo insegnante di inglese oltre che amico ed estimatore.
È del 1918 la sua scoperta della psicoanalisi: Svevo se ne appassiona, legge molti libri di Freud, tenta persino una rudimentale quanto coraggiosa autoanalisi.
Dopo che anche il suo capolavoro, La coscienza di Zeno, frutto di anni di lavoro e di riflessione passa fra l'indifferenza della critica, finalmente il successo letterario gli arride nel 1926, quando la rivista francese Le Navire d'Argent dedica un numero allo scrittore triestino. La fama dalla Francia si diffonde ben presto anche in Italia, grazie a Eugenio Montale, che parla di Svevo in termini entusiastici.
Italo Svevo muore, in seguito a un incidente automobilistico, il 13 settembre 1928.

MOTIVI LETTERARI E IDEOLOGIA
Preminente attenzione ai problemi dell’uomo, di cui scruta i meandri più riposti della coscienza, i famosi "autoinganni";
rappresentazione della società del suo tempo con opere di rottura, per svelarne le ombre, le finzioni, le angosce, per smitizzarla e demistificarla (diversamente dai vari Fogazzaro, Pascoli, D’Annunzio, che ne esaltano i difetti);
stile non elegante e antiletterario. Svevo ebbe sempre difficoltà con la lingua italiana (ad esempio usava l’ausiliare avere coi verbi riflessivi).
Secondo l’ideologia di Svevo la realtà è una buffa commedia, un indecifrabile caos, dove non c’è posto per la "felicità", né per la "salute", dove domina l’imprevedibile, il caso, il bizzarro, lo stato di malattia. Cade definitivamente il "mito positivo" romantico e borghese e si afferma il tema dell’inetto, dello "uomo senza qualità". Tale intuizione ha un’ascendenza schopenhaueriana, ma nasce anche da un "fraintendimento" della teoria della selezione naturale (che vede il più forte favorito sul più debole), sostenendo il primato dell’inetto sull’uomo di successo.
Gli inetti dello Svevo non si possono definire dei "vinti" alla maniera del Verga: questi ultimi sono rigettati indietro dopo aver tentato di superare il livello della loro classe; per gli inetti, invece, l’insuccesso è legato al "male di vivere" ed è una rinuncia di tipo filosofico ed esistenziale. Essi sono vinti ma senza grandezza perché la malattia della coscienza e l’inettitudine escludono la lotta. Sembra quasi che la malattia sia una condizione necessaria per conoscersi meglio, sia lo stato normale dell’uomo.
I motivi trattati nei romanzi sono pochi e ossessivi:
amore
senilità (non cronologica ma psicologica)
malattia e inettitudine alla vita
difficili rapporti con gli uomini
lavoro
È evidente la crisi dei valori borghesi

LA POETICA
In Svevo è caduta ogni funzione sociale e ideologica della letteratura: essa è attività privata, un vizio (almeno rispetto al mondo degli affari). L’autore stesso la praticò in questo modo, senza illusioni e con molti disinganni, fino a pensare seriamente di abbandonare, dopo l’insuccesso del secondo romanzo. I protagonisti dei tre romanzi sono dei letterati falliti: Alfonso scrive un romanzo a quattro mani con Annetta e, alla fine, si suicida (Una vita); Emilio è ancora una volta un letterato annoiato e deluso (Senilità); Zeno Cosini entra in scena con un diario che è definito dal dottore un cumulo di "tante verità e bugie", creando così le premesse di una ambiguità che svuota le stesse possibilità di un racconto reale (La coscienza di Zeno).
Perché scrivere allora? La funzione si capovolge: non più estetica o sociale, ma conoscitiva e critica. L’intellettuale, identificato ormai con l’inetto, il diverso, il malato, il nevrotico, ricorre alla letteratura, estraniandosi dall’attività economica e dai modelli sociali, per recuperare la misura della sua esistenza, mediante l’autoanalisi, e dei rapporti sociali. È una conoscenza frammentaria e disorganizzata della realtà, ma lo scrittore, ponendosi sul piano dell’ironia, prende le distanze dal mondo dei "sani" recupera una sua parziale autonomia, può esercitare la tolleranza verso di sé e gli altri.

LE OPERE (I TRE ROMANZI)
Le opere di Svevo sono sostanzialmente costituite da tre romanzi. I primi due, Una vita e Senilità, furono quasi del tutto ignorati dal pubblico. Nel 1923 Svevo pubblicò, il terzo romanzo, La coscienza di Zeno, che gli procurò un’improvvisa notorietà. I tre romanzi sono affini, perché hanno una tematica comune, che consiste nell’analisi ossessiva e spregiudicata del subcosciente.
Una vita (1892)
Il romanzo è la storia di un giovane e romantico provinciale, Alfonso Nitti, da poco arrivato in città, il quale, impiegatosi al Banco Maller di Trieste, s’impiglia in una certa complicità libresca con una bella bas-bleu (signorina bene), Annetta Maller, figlia del ricco magister della Banca. A un primo sodalizio assai platonico succede l’avventura sensuale che turba e sconvolge il Nitti e lo trova dapprima mal preparato, quindi svogliato affatto di sfruttare la situazione abilmente, come gli consiglia la signorina Francesca, istitutrice di Annetta. Il Nitti torna in licenza al paese, e quando, vinta una strana indifferenza (inettitudine) direi quasi meccanica ad ogni propria decisione, rientra in città, ma Annetta è ormai fidanzata al cugino Macario, e Alfonso, che riassume il suo posto alla Banca, è trasferito ad un’occupazione assai minore.
Solo allora il Nitti comprende quello che ha perduto e vede il periodo da poco trascorso come una sosta luminosa nel suo cammino buio; sicché non trascorrono molti giorni che egli, rincasando, accende un braciere nella sua stanza, e con lucida freddezza si addormenta nella morte (suicidio).
Quest’opera all’inizio della stesura si intitolava Un inetto.
Senilità (1898)
È il racconto dell’avventura amorosa che il trentenne Emilio Brentani si concede cogliendola di proposito sulle vie di Trieste.
Emilio è un impiegatuccio che gode nei circoli cittadini di una piccola fama letteraria e si duole di aver sprecato (e di non aver goduto) tanta parte di vita. Vorrebbe vivere come fa lo scultore Balli, suo amico, che è indennizzato dell’insuccesso artistico, da un grande successo personale, con le donne specialmente. Finora ad Emilio era sembrato di non aver saputo imitare l’amico, per le grandi responsabilità che su lui incombevano, la sorte di sua sorella, Amalia che vive accanto a lui nella stessa inerzia, non più giovane e affatto bella. Subito la sorella è agitata vedendo che il fratello senza alcun ritegno si dedica al gioco pericoloso e proibito dell’amore ma presto si convince, in seguito all’esempio del fratello e alle teorie di Balli, che essa fu ingannata e che l’amore dovrebbe essere un diritto di tutti.
Per Emilio intanto l’avventura si fa importante proprio in sproporzione al valore morale di Angiolina. Anzi ogni scoperta di una sua bassezza o di un tradimento non ha altro effetto che legarlo meglio a lei. Non sapendo imitare Balli ne invoca l’aiuto.
L’intervento di Balli fra i due amanti e anche tra il fratello e sorella ha degli effetti disastrosi. Tutte e due le donne si innamorano di lui. Inutilmente Emilio tenta di allontanarlo da Angiolina, perché costei gli si attacca, ma con facilità lo allontana dalla sorella che segretamente si procura l’oblio con l’etere profumato. Un giorno Emilio trova la sorella nel delirio della polmonite. Richiama il Balli e i due uomini aiutati da una vicina assistono la moribonda. Ancora una volta per aver scoperto un nuovo tradimento di Angiolina, Emilio lascia sola la sorella, ma poi ritorna da lei e le resta accanto finché chiude gli occhi.
Il romanzo è stato definito anche "quadrangolare" per le quattro figure che vi compaiono: Emilio, Angiolina, Balli, Amalia.
La Coscienza di Zeno (1923)
Il libro è composto di lunghi episodi. Zeno è un malato immaginario, un abulico pieno di buon senso, un uomo che si lascia vivere ma in realtà imbocca sempre la via più giusta. Fumatore accanito accetta di entrare in una casa di cura per disintossicarsi, ma poi riesce ad evadere e riprende a fumare. Ricco e quasi disoccupato decide di sposarsi. Frequenta la famiglia Malfenti dove sono disponibili tre ragazze da marito.
È respinto dalla più giovane, ferma il suo interesse sulla più bella, Ada, e durante una seduta spiritica serale, mentre tutti sono intenti a far ballare un tavolino, si decide a fare la sua avance ad Ada toccandole il piede: ma il buio lo inganna e il piede toccato è quello della strabica Augusta.
E così in breve tempo si trova fidanzato con quell’Augusta che poi si rivelerà moglie impareggiabile. Ada si sposerà invece con un ridicolo violinista, certo Guido Speier, per il quale Zeno nutre la più spiccata antipatia. Una successiva sezione è dedicata alla relazione extraconiugale di Zeno. Complice un amico, malato anche lui, ma un po’ meno immaginario, tale Copler, Zeno si fa protettore e consigliere di Carla, una ragazza povera che studia canto e ha bisogno di un disinteressato mecenate. Questa deliziosa Carla, perfetta fusione di equivocità e di candore, diventa presto la sua amante clandestina, senza che in lui venga meno l’amore per la moglie, ormai necessario complemento della sua vita.
Carla è un’Angiolina più scaltra, recita meglio la parte dell’innocenza. Impossibile pensare a un matrimonio, Zeno è il più onesto dei mariti; e nemmeno Carla chiede tanto. La relazione si prolunga tra alti e bassi angosciosi perché il sedotto Zeno dubita di essere un seduttore; finché Carla avendo estorto molto denaro al suo protettore, è in grado di licenziare lui e il maestro di canto e di fidanzarsi con un uomo in grado di sposarla. Zeno torna così con uno sospiro di sollievo alla sua pace coniugale, senza che Augusta abbia mai sospettato nulla. Gli affari attendono ora Zeno; ha accettato di far parte di una società commerciale fondata dal cognato Speier, senza tuttavia impegnarvi il proprio patrimonio, sempre amministrato dal sagace Olivi. Ma presto gli affari dalla ditta commerciale Speier e socio volgeranno al peggio. Non solo di mese in mese aumenteranno le spese e diminuiranno gli utili, ma lo Speier si darà a rischiose operazioni di borsa che lo ridurranno al lastrico.
Onesto e pietoso, Zeno decide di alienare parte del suo avere per soccorrere il cognato e spera di poter indurre la cognata Ada, più ricca del marito, a fare altrettanto. Ma Ada sembra resistere. Per convincerla Speier finge il suicidio inghiottendo una dose mortale di sonnifero. Egli ha disposto le cose in modo che un intervento medico sia pronto e sicuro. Disgraziatamente, per una serie di disguidi, favoriti dal maltempo, il medico giunge troppo tardi e trova Speier morto. E cade qui il famoso lapsus di Zeno Cosini: il quale, credendo di seguire il funerale di Speier, segue invece il feretro di un altro defunto. È questo lapsus che svela il segreto rancore di Zeno per il cognato, per l’imbecille e discutibile personaggio che anni prima Ada Malfenti gli ha preferito come sposo. Sempre fortunato nelle sue disavventure Zeno eredita una passività da colmare perché nel frattempo la borsa si mete al rialzo e il suicidio di Speier si mostra come l’ultimo gesto inutile di un fallito, non nel gioco di borsa ma nella vita. Ma qui la narrazione si interrompe perché Zeno ha deciso di mandare al diavolo la cura del medico. E d’altra parte siamo giunti alla guerra e al dopoguerra, Zeno Cosini è diventato e sta diventando Italo Svevo e la memoria non può soccorrere più.

LA NOVITÀ DE "LA COSCIENZA DI ZENO"
Col suo terzo romanzo Svevo abbandona i moduli narrativi tradizionali e introduce le seguenti novità:
Racconta in prima persona, creando una voluta ambiguità tra il personaggio e l’autore. La "coscienza" è, al tempo stesso, soggetto e oggetto di conoscenza; l’io che narra è uno sdoppiamento dell’ "io" vissuto. Mentre finge di costruirsi, si smonta con le sue stesse parole (l’umorismo).
Viene meno la successione cronologica dei fatti e l’autore usa un tempo misto organizzato su tre livelli temporali: la Prefazione del medico, il primo manoscritto fittizio di Zeno (dal secondo al settimo capitolo); il secondo manoscritto (ottavo capitolo), composto dopo sei mesi di psicanalisi, allo scopo di deridere la diagnosi del medico e mettere termine alla cura.
La vicenda si svolge in otto capitoli e cinque episodi, che tolgono coerenza e unità al personaggio. Non c’è un nesso temporale, ma tematico.
Il racconto è un cumulo di verità e bugie dovuto sia alla deformazione del ricordo operato dalla memoria, sia al rapporto di odio-amore che si stabilisce tra paziente e medico.
Compare la tecnica del monologo interiore, che è una trascrizione immediata, non razionale-sintattica, di tutto ciò che si agita nella coscienza. Svevo, a differenza di Joyce, lo limita a una specie di discorso indiretto.
Per tutti questi motivi appare dissolto il personaggio ottocentesco e l’autore passa in secondo piano, nascosto dietro la coscienza del personaggio stesso.

PIRANDELLO E SVEVO
Sono molto vicini, sono "compagni di strada", esprimono un uguale giudizio negativo sulla società del loro tempo e sulla crisi dell’uomo, ma mentre Pirandello ha una posizione relativistica, perviene a una conclusione tragica e desolata, studia di più il rapporto uomo-società e i meccanismi del grottesco, Svevo batte la strada del problematicismo, scruta con analisi implacabile la psicologia dell’uomo e conclude con un sorriso ironico. Conosce inoltre la psicanalisi e è più moderno come tecniche letterarie (monologo interiore).
Inoltre, se in Pirandello le uniche vie d’uscita sono il delirio, il suicidio e la pazzia, il Svevo il personaggio "inetto" è più aperto alla tolleranza verso gli altri e verso se stesso mediante il processo di autocoscienza e l’ironia. Sul piano sociale, poi, sfruttando il gioco imprevedibile degli eventi, può giungere al successo.

SVEVO E IL SUO TEMPO
Trieste fu la città in cui l’eco della crisi economica europea fu più sensibile, e più acuto il disagio dell’uomo di fronte ai nuovi problemi.
Solitudine del borghese, mancanza di una ragione di vita, di una solida fede di fronte al tramonto delle vecchie strutture politiche si riflettono nell’opera dell’ebreo Svevo con la stessa forza di Kafka, lo scrittore di Praga vissuto nello stesso periodo, di Musil, di Thomas Mann. Svevo è dunque l’unico narratore italiano che abbia effettivamente interpretato la grande crisi europea del primo ‘900. Nei tre romanzi descrive il problema dell’uomo che non sa e che non può inserirsi nella società a cui appartiene.
L’uomo, portato ad esaminare la propria funzione sociale, è distrutto dalla sua analisi, dalla propria inquietudine problematica che non è più individuale ma universale.

SVEVO E LA PSICANALISI
Svevo si servì della psicanalisi di Sigmund Freud. Freud insegnava che molte nostre azioni solo apparentemente nascono da libere scelte; in realtà sono condizioni da complessi psichici. Perciò, solo frugando nei meandri tortuosi del nostro io possiamo cogliere le ragioni e i motivi più profondi di molte nostre azioni .L’attenzione dello scrittore non è più rivolta a fatti esterni, al <<documento>> storico, ambientale o sociale, tanto caro agli scrittori del Naturalismo e del Verismo, ma ai fatti interni, all’esplorazione dei labirinti del subconscio, mettendo a nudo ciò che si cela e fermenta sotto la crosta delle apparenze esteriori e delle convenzioni sociali.